Pensate a un film in bianco e nero… il protagonista maschile, avvolto in una nuvola di fumo, avvicinandosi al bancone del bar ordina il solito. Bob, il barman, con pochi sapienti gesti, gli porge una coppa di liquido trasparente ingioiellata da una perla verde… è un dry martini cocktail. Secco, forte, testosteronico, proprio come colui che lo richiede.
Il Martini, il drink più longevo della storia, è tornato di moda, complice la rinata passione per l’ora dell’aperitivo e la definitiva archiviazione dell’era delle caipirinhe, caipiroske e caipirissime.
Di Martini non ne esiste però uno solo, ma cento, mille e più, tante sono le sue varianti, le storie sulla sua origine e le suggestioni che sa evocare. La leggenda vuole che nel 1910 un barman di Arma di Taggia, che di cognome faceva Martini, una volta emigrato in America creò per primo la rinomata miscela all’hotel Knickerbocker di New York.
Altre fonti datate 1872, danno invece per certa la sua nascita al bar Occidental di San Francisco in onore di un viaggiatore diretto a Martinez che aveva chiesto qualcosa di speciale da sorseggiare prima di rimettersi in cammino.
Comunque sia i Martiniani Doc, assicurano che il migliore al mondo è quello che si gusta all’Harry’s bar di Venezia, dove in passato Hemingway, amava sbronzarsi con la versione extra strong da lui stesso ideata e che ancora oggi porta il suo nome.
Già, perché il Martini deve parte della sua fama ai tanti testimonial illustri accomunati tra loro dalla passione per l’inebriante cocktail. Come Luis Bunuel che amava dire che il Martini è il potere dell’immaginazione o l’esuberante Mae West che dal grande schermo sospirava: “devo liberarmi di questi abiti bagnati ed infilarmi in un Martini Dry”
Ma come si prepara un buon Martini?
La ricetta ufficiale, come tutte le cose geniali, è semplice: 8/10 di Gin secco, meglio se London Dry, e 2/10 di vermouth dry.
Ma le proporzioni possono variare a secondo del gusto personale.
E poi: ”Stirred not shaken”…mescolato non shakerato, come insegna James Bond, e cioè rimestato velocemente con un lungo cucchiaio nel mixing glass, affinchè il ghiaccio, che deve “schioppettare”, non si sciolga. Quindi filtrato e versato nella caratteristica coppetta ghiacciata da cocktail e guarnito a piacimento con oliva o scorzetta di limone. Ma se preferite una cipollina, avrete un Gibson, sostituendo invece il gin con la vodka, un Vodkatini, il preferito da 007, mentre aggiungendo un’ostrica cruda gusterete il sofisticato Oyster Martini. Le varianti sono infinite, impossibile elencarle, l’unica costante è l’alto tasso alcolico quindi fate tesoro delle parole di Dorothy Parker: ” Amo bere il martini, con due sto al meglio, con tre finisco sotto al tavolo, con quattro mi ritrovo sotto all’oste”.
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